Museo Diocesano di Vallo della Lucania


Indirizzo:
Via F. Cammarota, n. 2, 84078 Vallo della Lucania

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Il Museo Diocesano del Vallo della Lucania sacro nell'arte nasce da una volontà della Curia di Vallo e dalla necessità di tutelare il patrimonio culturale ecclesiastico presente nelle chiese dopo il museo 1980. Questo terremoto presenta un particolare dinamismo in quanto le opere che costituiscono il nucleo della collezione si aggiungono dinamicamente, opere di restauro e di esposizione. "Presentare le collezioni" sembra così scoraggiante. La prima e più importante collezione del Museo è certamente una delle pale d'altare, di incomparabile bellezza tra cui la Pala della Trasfigurazione di Torchiara (Marco Pino da Siena e aiuto, 1577), la Pala Laurino (Cristofaro Faffeo, 1482), la Pala di San Pietro. Nicola di Stella Cilento (Maestro di Stella Cilento, 1520 c.), tutti esposti nella sala principale e il Dittico Maestro dei Polittici perfettamente restaurato francescano e godibile nel loro splendore. Tra i polittici ancora in restauro, quello di S. Mauro Cilento, Madonna del Rosario e dei Misteri, di Giovan Angelo D'Amato (XVI sec.). Al contrario, la splendida Pala inglese Criscuolo, del 1540, è tornata dopo anni di custodia presso il Museo, da cui proveniva la Chiesa di Santa Maria di Velia Longobarda. Un'altra collezione degna di attenzione è quella dei dipinti: il S. Gennaro, attribuito a Solimena, i San Filippo Neri e la Maddalena Penitente di chiara derivazione Solimena, la Pietà attribuita al Maestro di Stella Cilento, dove sono presenti numerosi riferimenti alla Pietà Avellino Silvestro Buono. Nella collezione di dipinti merita sicuramente un posto d'onore "Il Redentore di S. Bernardino e S. Antonio Abate" di Decio Tramontano (1560). Autore sconosciuto, tuttavia, è il S. Antonio Abate (XVI secolo.). Di grande profondità pittorica è il San Francesco di Paola, opera di un ignoto artista del Settecento, dove si trovano numerosi riferimenti a Giuseppe Ribera. Di Girolamo Siciliano L'Annunciazione (1577). Dal sapore polidoresco che guarda anche al manierismo di Marco Pino da Siena. Tra le molte altre opere presenti nella collezione va citata "La Natività con San Giovanni Battista e San Francesco" del XVI secolo, opera di un ignoto seguace di Silvestro Buono. Il San Giovanni è una composizione così serena che richiama alla mente il colore chiaro, pulito Cesare da Sesto e, nel panneggio, anche Andrea Sabatino. La collezione di sculture non è molto ricca di opere, ma certamente di grande interesse storico-artistico è la San Filadelfio, statua lignea datata tra l'XI e il XII secolo, che presenta le caratteristiche fondamentali dell'arte bizantina e proviene dalla cappella del santo situata nell'Abbazia di Santa Maria di Pattano. A S. Filadolfo fondale "One Holy", scultura lignea policroma di ignoto scultore del XVIII secolo. che si rifà alla tradizione napoletana dell'intaglio del legno e una "Madonna delle Grazie" (sec. XVI) di ignoto scultore meridionale modellante stucco e colore, tecnica allora rarissima. Non meno interessante è la collezione di oggetti che comprende alcune opere di primaria importanza come "L'urna da sposa" e "Calice di San Silvestro". La Sposa a Scrigno è opera di Bottega Embriachi ed è datata agli inizi del 1400. Il più notevole esponente di un laboratorio di scultori d'avorio operante a Firenze, Lombardia, Veneto e poi in Francia fu Baldassarre Embriachi vissuto tra la fine del XIV sec. e l'inizio del XV secolo. Il "Calice di Eva" è opera di Guidino da Guido da Siena realizzato in argento e smalto nel XIV secolo. e dalla Chiesa di San Silvestro di Sacco Papa. Anche se la coppa e il gambo sotto il nodo non sono originali, rimane ancora un grande pezzo di interesse artistico per i sei piatti della base raffigurante la Crocifissione, Nostra Signora Addolorata, San Paolo, San Silvestro, San Pietro e San Giovanni e gli altri sei piatti del "nodo" non tutti leggibili. Di Dario Guide pubblicò questa coppa in Napoli Nobile (VI/1967) risalendo da essa al reliquiario del Santo caporale Orvieto Guidino attribuendo alle storie della Passione e agli smalti delle cuspidi. Tra gli argenti del museo occupano un posto di rilievo: l'ostensorio Domenico Giordano del 1744 (Nap44 e DGC); Giungano il Calice di Romanelli Gennaro (1832/39); la croce processionale in argento sbalzato del XV secolo di Ostigliano; la croce processionale di un argentiere meridionale del XVI secolo; la croce processionale di Giungano. Bracci di pregiata fattura ritorti con estremità affusolate e terminanti in cono di pino. Porta la data 1611 e una scritta leggibile "Pestum Adhuc Redolet" (ha ancora l'odore di Paestum) il cui significato, ad oggi, nessuna spiegazione. Altra croce processionale dalla parrocchia di Giungano. E' costituita da due parti, la Vera Croce e possiede un argentiere napoletano di primo piano risalente tra il 1824 e il 1839, e recante un nodo di frase e un dato "FUIT AUCTOR ITIUS D. Domitius AMORESANUS d.C. 1518"; la Croce per altare ligneo, madreperla e avorio, datata con grande precisione tra la fine del XVII secolo. e l'inizio del XVIII. È stato costruito da una comunità francescana o da una comunità francescana. La collezione si chiude con l'argenteria con una serie di candelieri a fattura napoletana (punzone incompleto "...Iezzo" + 800) e con alcune rilegature in argento per messali cesellati e velluti rossi. Pochi ma preziosi paramenti liturgici che vanno dal 1600 al 1800.


Testo del Prof. Vincenzo Cerino



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